Servizio

Come a Emmaus: alla locanda di Gesù

Nessuno è solo. Ognuno deve pensare a se stesso non come sventura ma come dono di Dio. Lo ha detto il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, durante la veglia di preghiera celebrata in cattedrale. Allenarsi frequentando “la palestra della Confessione e dell’Eucarestia”, perché “allenare gli altri ci costringe ad allenare noi stessi”: è questo il monito che il cardinale ha lanciato ieri sera rivolgendosi agli oltre 550 tra educatori e operatori di pastorale giovanile e invitandoli a “non scoraggiarsi se non riusciamo a vedere Dio nelle cose più semplici, perché troppo presi da dolori e speranze infrante".  L’esortazione è a non cadere nella “lamentela, a non diventare polemici ringhiosi, a non incolpare gli altri” perché così facendo “tanta acqua buona viene sprecata. Ci affatichiamo e non concludiamo". Per indicare ai giovani la strada di Gesù, ha spiegato l’arcivescovo di Genova, “bisogna vedere la strada dell'invisibile, vedere la luce” e per questo è necessario alimentarsi presso “la locanda di Gesù” che è la Chiesa. “I giovani – ha concluso - possono essere distratti dallo scintillio, da mille rumori ma mantengono l'istinto della luce e del bene. Aspettano qualcuno che li accompagni. Rassicurati dalla presenza del Signore, prendiamo allora il mare con passione e ardimento e sciogliamo le vele al vento dello spirito. Su quella barca c'è Gesù”.

Downloads

I The Sun a Trieste: Quando la musica è un mezzo, non un fine!

 Se ne è parlato a lungo, in questi ultimi giorni. C’è stato un gran fermento intorno a questo evento. Giovani e giovanissimi (ma non solo!) hanno fatto a gara a chi prenotava per primo un posto in sala Tripcovich. E non solo da Trieste, ma anche dalle vicine diocesi di Udine e Gorizia… e anche da più distante. Poi il giorno è arrivato: quattro ragazzi, giovani come tanti, appassionati di musica e di ritmo, di ballo e di sballo, si sono presentati sul palco per raccontare una storia di suoni e di parole, di risate e di riflessioni, di fondo e di vetta. E l’hanno fatto bene, questo racconto. Dalle origini, baciate da un successo forse prematuro che li ha sviati anziché avviarli ad un’esistenza realizzata; fino alla crisi, che molte vite attraversa silenziosamente, ma che nel loro caso ha spaccato, rumorosamente, una presunta armonia, a partire dalla testa, il leader Francesco, per poi estendersi come una frattura agli altri membri, Matteo, Riccardo e Gianluca, prosciugando le loro energie relazionali e musicali, tramortendo i loro legami con il mondo, disorientando la loro sicumera puntellata di alcool, avventure e notti brave. Poi è arrivato Lui. Anzi, Lui c’era già, bastava che di Lui si accorgessero. Domenica pomeriggio queste quattro persone nuove, rinate dall’Alto, hanno raccontato la loro storia e la loro vita rendendola più vera grazie alla poesia delle loro canzoni, la cui forza dirompente non ha tardato a conquistare orecchie, cuori e, forse, esistenze di tutti i presenti in sala, compresi, ci piace pensare, i tre Vescovi di Trieste, Udine e Gorizia, come pastori che danzano vegliando sul loro gregge scatenato. Terminato il concerto-testimonianza, dopo qualche minuto, il tempo di rinfrescarsi, Gianluca il chitarrista ha accolto la proposta di rispondere a qualche domanda per gli amici che non erano in teatro.

Abbiamo vissuto una intensa giornata mondiale delle vocazioni; cos’è per voi la vocazione?

La vocazione è una via, una strada, un messaggio. Francesco, il nostro leader, dopo una tournée di oltre 100 date conclusa nell’ottobre del 2007, ha visto sfumare la sua vocazione musicale, perché viveva la musica come un fine e non come un mezzo. Dopo questa tournée, tutto sembrava finito tra di noi. Lì è arrivata quella che reputo una seconda vocazione: ascoltare, ascoltarsi. Francesco ha ascoltato sua madre, che lo ha invitato ad un incontro parrocchiale di evangelizzazione, in mezzo a persone “normali”. Da lì sono nate in lui diverse domande fondamentali: perché esisto, perché non sono felice, cosa devo fare della mia vita? E la risposta è stata chiara: grazie a Gesù ha scoperto che la vita può essere più bella, viva, importante; che la musica non è un fine, ma un mezzo. Allora ha capito che attraverso il suo mestiere voleva portare vita nuova, bellezza a chi voleva ascoltarlo. E grazie a Francesco, anche noi abbiamo compiuto un viaggio di riavvicinamento a Gesù.

Il messaggio che voi lasciate passa attraverso la musica, il suono. Ma la vocazione passa anche per il silenzio. Cosa rappresenta per voi musicisti il silenzio?

Quando non sai esprimere bene i tuoi sentimenti, il silenzio diventa una canzone. Dal silenzio, dalla riflessione, dall’adorazione silenziosa, nasce l’ascolto. Nel momento in cui io sto in silenzio, posso ascoltare, e quindi ricevere. E dal messaggio che ricevono nell’ascolto, nascono poi le canzoni.

Dall’esperienza che avete raccontato, si intuisce che avete ripreso in mano la vostra vita spirituale. Avete una guida che vi sostenga?

E’ una domanda che ci viene spesso posta. Noi siamo ragazzi normali, con le loro difficoltà, per superare le quali abbiamo delle guide che ci sostengono, degli amici, anche consacrati, con cui ci confrontiamo, sia personalmente che come gruppo. Non ci avevamo mai pensato, prima, ma avere un padre spirituale è fondamentale perché ci si confronta.

Il vostro stile di condivisione è diventato stile di comunione. Potete dire ai lettori due o tre regole basilari per coltivare la comunione in gruppo?

Faccio una premessa: noi comunque da soli non possiamo concludere quasi niente. La comunione è quindi fondamentale: se Francesco non avesse deciso di mettere in comunione con noi le sue riflessioni, non saremmo mai rinati così come siamo adesso. E l’ha fatto sfidando anche le nostre reazioni, diciamo, veementi. Poi consiglio a tutti di pregare assieme, e ve lo dice uno che fa fatica a pregare. La preghiera è un’arma grande che abbiamo per creare comunione. Noi preghiamo spesso assieme, prima ci faceva ridere, poi ci siamo resi conto di quale bellezza può nascere da questa azione.

Abbiamo intuito che Betlemme è stata una tappa fondamentale per voi. Cos’era Betlemme prima, e cos’è Betlemme adesso?

Prima del nostro viaggio in Terrasanta, l’avevamo incontrata solo nelle Scritture. Andarci in prima persona ci ha messi di fronte alla sofferenza e alla crudeltà di una realtà in cui il Signore ha passato la vita. La sofferenza di chi ci vive adesso ci fa portare a casa qualcosa. Per noi Betlemme è stata la chiamata. Dopo aver pregato a Mallorca, dove eravamo nel 2010 per registrare il video di “Non ho paura”, abbiamo messo a disposizione del Signore noi stessi, perché ci indicasse cosa fare, pieni di gratitudine per la nuova via che ci aveva fatto ritrovare. Poco dopo è arrivato l’invito di don Mario, proprio da Betlemme, che si è fidato di noi e di cui noi ci siamo fidati, senza conoscerci reciprocamente. Questa è stata una chiamata, un invito, che noi abbiamo accolto. Anche questa è vocazione! Vedere come si vive lì, e l’amicizia con don Mario, è stato un concetto di vita nuova.

Avete visto qualcosa di Trieste in questo giorno e mezzo?

Siamo arrivati ieri in tarda serata e abbiamo trovato un’accoglienza bellissima; Trieste ci è sembrata architettonicamente molto bella, con un’atmosfera quasi magica. Girando in città in tarda serata, durante l’Adorazione (nella chiesa della Beata Vergine del Rosario, ndr), abbiamo visto quel che è normale vedere in tante città: c’è molta vita e ci sono grandi pericoli. Ho rivisto in molte facce quello che ero io 10 anni fa. Qualcuno direbbe: che male c’è? Io preferisco usare le parole di Francesco nel suo libro “La strada del sole”: che bene c’è? Bisognerebbe vivere questa fase del divertimento serale con consapevolezza. Lo sballo è un richiamo facile e veloce, certo… e io posso ben dirlo! Nel corso degli anni ho fatto esperienza che bere e divertirsi in compagnia hanno un confine labile con l’abuso.

Ultima cosa: un messaggio per i giovani di Trieste.

Ringraziate per quello che avete! Noi per primi ringraziamo la città di Trieste per averci accolto così. Poi volgiamo lasciare un messaggio di gioia: quando ti poni di fronte alla vita in modo diverso, ad esempio imparando a chiedere scusa, a ringraziare, a confrontarsi, scopri i valori veri della vita; il resto, successo e fama, sono cose effimere. Quando abbiamo suonato nei palchi più prestigiosi di fronte a decine di migliaia di persone l’emozione è stat grande. Poi abbiamo suonato di fronte a bimbi palestinesi con grave handicap in un garage, alla terza canzone io avevo un nodo in gola e non potevo più sostenere lo sguardo di questi bambini. Eppure poi sono uscito piangendo, di un pianto liberatorio e di gratitudine per la fortuna che avevo. Ragazzi, ringraziate, perché ci sono posti in cui non c’è la libertà di vedere la fidanzata, di abbracciare il padre o il fratello. Amicizia e gratitudine non si comprano, si vivono. Vivete appieno queste emozioni perché sono davvero impagabili. Siate grati alla vita!

Ripensa il tuo tempo